Un lavoro per tutti


Di Giovanni Pellegri



Ho incontrato Franco stamattina. Quando ha varcato la porta, aveva lo sguardo basso e teneva fra le sue grandi mani il foglio della disoccupazione. Ho capito che non era mai stato disoccupato. Mi  ha detto che ha lavorato per 40 anni come muratore, poi ha sviluppato un’allergia al cemento ed è stato costretto a cambiare lavoro. “Ma che cosa può fare una persona come me”, mi ha detto. Vuole lavorare, trasportare mobili, spostare sacchi possibilmente all’aperto, in 40 anni non ha mai lavorato dentro una fabbrica. Non ha altri problemi di salute, nemmeno mal di schiena. Vuole solo un lavoro. Claudio invece è giovane, l’ho incontrato subito dopo Franco. Sguardo intelligente, attento, ha preparato un curriculum vitae con il computer. È arrivato puntuale, non vuole fare brutte figure. Ha avuto un passato segnato dalla droga, non ha terminato gli studi, da 4 anni è a carico dell’assistenza. Ha problemi di salute ed è in cura metadonica. Vuole lavorare, mi dice, anche se ha paura di non farcela, la malattia di cui soffre lo rende debole e incostante. Ad entrambi offro un lavoro. Franco andrà alla stazione di Giubiasco a svuotare dei vagoni contenenti decine di migliaia di kg di abiti usati della colletta di Caritas Ticino. Claudio andrà a lavorare nell’azienda orticola di Caritas a Pollegio, a 30 minuti di tragitto da casa sua. Accettano la sfida e ringraziano.

 

La legge del mercato è spietata: le capacità lavorative ridotte, per competenze professionali superate, età  avanzata, disagi fisici o psichici, non trovano spazio nel mercato del lavoro. Sarebbe anche difficile immaginare dei datori di lavoro disposti ad investire un salario per una persona incostante, magari anche inaffidabile, e che può quindi fornire una prestazione ridotta e continuamente interrotta da certificati medici. Le conseguenze di questa logica di mercato sono socialmente e finanziariamente pesanti. Che cosa offriamo alle persone che per il resto della loro vita potranno esprimere solo competenze professionali limitate? È giusto che lo Stato si prenda a carico i costi sociali diretti e indiretti di tutte queste persone obbligate all’inabilità forzata anche se hanno ancora un potenziale pur piccolo, da spendere nel mercato del lavoro? Per le persone escluse, la situazione è pesante: stabilmente e strutturalmente escluse dalla possibilità di accedere ad un posto di lavoro, non gli rimane altro che vivere in un’inoperosità pagata, pur esprimendo ancora un potenziale in rapporti umani e aspettative di socialità che superano i loro problemi di povertà economica, culturale, professionale e di malattia da essi espressi.  Emarginate restano inoperose a carico della collettività.

 

Un primo passo per uscire da questa situazione sono i programmi di inserimento professionale (PIP) voluti dal DOS dal 1998. La proposta consiste nel trasformare la prestazione assistenziale, che confina in un’inoperosità pagata le persone escluse dal mercato del lavoro, in un salario guadagnato all’interno di attività utili e parallele all’economia ticinese. Dal 1998 in collaborazione con l’Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento (USSI), Caritas Ticino offre un lavoro alle persone in assistenza. Nel 2000, 103 persone con prestazioni assistenziali hanno beneficiato di questa misura presso le aziende di Caritas Ticino.

 

Nelle chiacchiere da osteria si elogiano questi furbi che sono riusciti a fregare tutti e a vivere sulle spalle dei contribuenti. Tutto è spesato dal Cantone: cassa malati, telefono, via cavo, vestiti, vitto e alloggio. Sempre secondo questa logica, l’assistito “ce l’ha dolce”  e ha scopertine/coperto come vivere senza compiere sforzi. Ma la realtà è ben diversa: innanzitutto, occorre sottolineare che le  persone segnalate dall’USSI raramente rifiutano la proposta di lavoro. Tradotto in cifre significa che alla domanda, “lei preferisce rimanere a casa con i soldi dell’assistenza o lavorare 40 ore alla settimana con un salario lordo di 2600.--?” Novantasei persone su cento hanno scelto la seconda opzione. 

 

Inoltre, i dati sulla produttività di queste particolari aziende, mostrano che anche coloro che hanno delle incapacità lavorative parziali possono rivelarsi utili all’economia. Dal 1995  ad oggi le aziende di Caritas Ticino hanno lavorato oltre 6 milioni di chili di rifiuti, offrendo soluzioni concrete al Cantone per la gestione di alcune classi di rifiuti particolari (frigoriferi, rifiuti elettrici ed elettronici, mobili, tessili,  al altri oggetti)  e prodotto ortaggi regolarmente  venduti attraverso i canali abituali del  mercato ortofrutticolo  ticinese. Il tutto è stato realizzato con manodopera scartata dal normale mercato del lavoro.


Sono necessarie nuove misure. La proposta di Caritas Ticino

 

Le attuali misure attive proposte dalle normative LADI e LAS offrono un sostegno e delle proposte concrete alle persone che presentano ancora della capacità spendibili nell’attuale mercato del lavoro, ma si rivelano percorsi senza sbocchi per coloro che oggettivamente e per somma di condizioni, età, adattabilità alle normali condizioni lavorative, competenze professionali, dipendenze da droga o alcol, problemi di disagio sociale, culturale o di salute, non sono reinseribili nell’attuale mercato del lavoro. Gli attuali PIP,  infatti, hanno durata massima di un anno,  nella maggior parte dei casi la fine dell’anno di lavoro coincide con il ritorno verso l’esclusione: molte persone, soprattutto le più svantaggiate per problemi di dipendenze, malattie, o semplicemente perché troppo anziane, si ritrovano in quella fascia di popolazione dalla quale erano venute. Stabilmente e strutturalmente escluse dalla possibilità di accedere a un lavoro, non capiscono perché non possono restare a lavorare a Caritas. Per  le fasce più deboli del mercato del lavoro occorre riflettere sulla creazione di posti stabili, adeguatamente remunerati.

 

Si rendono necessarie nuove azioni mirate, stabili e durevoli, che vanno ben oltre il normale rapporto di lavoro e che sappiano integrare l’accompagnamento personalizzato in un lavoro di rete tra LADI – LAS – AI e servizi territoriali di base, come i servizi psico-sociali, le antenne, i servizi sociali in generale, polizia, e non da ultimo il Patronato penale.  Ma attenzione, non si tratta di creare laboratori protetti per disoccupati assistiti, ma posti di lavoro e di socializzazione che, con il dovuto accompagnamento, permettano di valorizzare le capacità produttive residue affrontando disagi sociali complessi.

 

Sebbene stiamo parlando di una realtà numericamente contenuta, riteniamo sia importante non dimenticare questa fascia di persone: non si tratta solo di solidarietà ma anche di opportunità in quanto queste persone, già a carico della collettività, creano costi socio-sanitari maggiori se costrette all’inattività. Tratte le dovute somme, i costi globali generati dall’esclusione sociale, possono essere ben maggiori dell’offerta di spazi lavorativi stabili e adeguatamente accompagnati.

Caritas Ticino, a partire dall’esperienza nel campo della disoccupazione-lavoro e povertà-emarginazione, ha inviato un documento al Consiglio di Stato per progettare nuovi programmi di inserimento lavorativo che non abbiano più come obiettivo prioritario “il posto di lavoro” ma l’utilizzo della capacità di lavoro residua e lo sviluppo delle potenzialità produttive. Spazi di questo tipo sarebbero un importante complemento agli attuali programmi LADI e LAS e permetterebbero di ridurre “lo zoccolo duro” degli esclusi.


Che cos'è un PIP?

 

Il programma di inserimento professionale e sociale (PIP) è realizzato nell’ambito dell’applicazione della modifica della assistenza entrata in vigore il 1° gennaio 1998 (articolo 31). Il PIP  offre un lavoro e un salario per un anno  alle persone che percepiscono dei contributi assistenziali. Contrariamente ai programmi svolti nella legge disoccupazione, l’anno di lavoro conta come periodo utile per  riaprire un termine quadro in disoccupazione. I PIP di Caritas Ticino sono un tentativo di risposta ai bisogni di quelle persone “difficilmente collocabili” e che quindi rischiano maggiormente un’esclusione sociale. Tutte le persone inserite nel progetto sono beneficiarie di prestazioni assistenziali indipendentemente dalla loro formazione, età e sesso. Il progetto di Caritas Ticino propone spazi anche per tutte quelle situazioni problematiche con carenze fisiche e psichiche che possono essere osservate e valutate in un ambito lavorativo allo scopertine/copo di evitare la definitiva emarginazione.


Oltre 6 milioni di chili di rifiuti lavorati con manodopera esclusa dal mercato del lavoro

 

La lotta alla disoccupazione di Caritas Ticino è cominciata nel 1988 con il programma occupazionale Mercatino, che oggi impiega circa trecento persone l’anno privilegiando i disoccupati di lunga durata o gli esclusi dal processo produttivo che usufruiscono di prestazioni assistenziali. Le attività produttive si snodano su due fronti, l’orticoltura e il riciclaggio; Dal 1995 ad oggi ad esempio, nel quadro delle attività di riciclaggio, abbiamo raccolto in Ticino, circa 4 milioni di kg di tessili, 1.1 milioni di kg di rifiuti elettrici ed elettronici e 20’000 frigoriferi rotti; senza contare qualche milione di chili di mobili e altri oggetti raccolti e riciclati da Caritas Ticino otteniamo oltre 6 milioni di chili di rifiuti raccolti. Questo materiale è stato lavorato/riciclato dalle persone disoccupate o in assistenza secondo le normative federali e cantonali. Il progetto di Caritas Ticino si concretizza all’interno di aziende produttive che offrono lavoro e accompagnamento alle persone in assistenza o disoccupate, allo scopertine/copo di far rientrare nei circuiti lavorativi tradizionali le persone che oggi si trovano in situazioni di svantaggio e che non possiedono i requisiti necessari per un inserimento produttivo nel normale mercato del lavoro.